Nanotecnologie, scoperti nuovi bioelettrodi: un filo diretto tra neurologia ed elettronica

22 Giugno 2018
BIO BASIC EUROPE

Progetto di Unibz in collaborazione con l’Imperial College di Londra e l’IIT di Genova. Con i nuovi dispositivi misurazioni molto più avanzate dell’attività cerebrale

 

Sono piccoli, leggeri e poco costosi. E sono potenzialmente rivoluzionari. Il gruppo di ricerca in nanoelettronica coordinato dal rettore della Libera Università di Bolzano, Paolo Lugli, e dal suo assistente, il ricercatore campano Aniello Falco, ha sviluppato in collaborazione con il Center for Synaptic Neuroscience dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e l’Imperial College di Londra, dei bioelettrodi biocompatibili. Di cosa si tratta? Di mini pellicole stabili e semitrasparenti che consentono di creare un filo diretto tra neurologia ed elettronica con applicazioni sorprendenti in moltissimi campi, dall’agricoltura di precisione alla medicina.

«Il risultato che abbiamo raggiunto – spiega Lugli, rettore della Libera Università di Bolzano e coautore dello studio – si inserisce in un’attività di ricerca che ci vede impegnati a sviluppare tecnologie innovative basate su processi di stampa. Grazie a tali tecnologie sarà possibile realizzare componenti e circuiti elettronici a basso costo, come una comune stampante inkjet, e su substrati non convenzionali come, ad esempio, plastica, vetro o carta. A queste applicazioni, se ne aggiungono molte altre altrettanto importanti in campo medico, nella sensoristica, nella agricoltura di precisione o nei tessuti intelligenti».

La scoperta è il risultato di studi svolti nell’ambito del progetto di ricerca Olimpia, sostenuto dall’Unione Europa con fondi per quattro milioni di euro, che ha visto il team collaborare prima a Monaco e poi a Bolzano, portando alla creazione di un prodotto essenziale per il progresso della bioelettronica: i bioelettrodi biocompatibili. Questi dispositivi possono consentire misurazioni dell’attività elettrica del cervello molto avanzate e precise con analisi che, soprattutto nello studio dell’epilessia, si dimostrano più raffinate rispetto a quelle attualmente eseguibili con strumenti come l’elettroencefalogramma. Solitamente, i bioelettrodi usati in laboratorio sono realizzati in oro su vetro, quarzo o plastiche biocompatibili, ma l’oro non aderisce bene a questi materiali e necessita di uno strato adesivo, tipicamente il cromo. Il cromo, però, è citotossico, ovvero può creare danni alle cellule. Da qui, l’idea di sostituirlo con un fotopolimero chiamato SU8: una pellicola chimicamente inerte che si ammorbidisce o si indurisce per mezzo di semplice luce ultravioletta e che può quindi essere facilmente modellata. Da questo materiale si creano elettrodi del tutto innocui per i tessuti umani con costi, per altro, molto contenuti. «Prima di noi nessuno aveva mai pensato a un uso di questo tipo, ma l’SU8 aderisce all’oro bene tanto quanto il cromo o il titanio e permette di leggere con maggiore dettaglio l’attività neuronale. Inoltre, non avendo alcuna tossicità, può essere impiantato nel terreno o nelle radici delle piante per verificarne in tempo reale lo stato di salute e il grado di umidità. E altri studi li stiamo conducendo su tessuti intelligenti collaborando con aziende del territorio per capire come poter attivare, direttamente nell’abbigliamento degli atleti, sensori di glucosio o di sostanze chimiche stimolanti» – spiega il ricercatore Falco.

 

Ma non è tutto: la pellicola può essere molto utile anche nelle operazioni di protesi chirurgiche. I chirurghi, infatti, potranno inserire chip con elettrodi di oro e SU8 nel corpo umano, scongiurando la probabilità di rigetto. Tutte opportunità straordinarie che hanno fatto sì che lo studio venisse pubblicato anche sulla celebre rivista Nature Scientific Reports. «È il sogno di ogni ricercatore essere pubblicato su una rivista del gruppo Nature. Ed è straordinario aver potuto realizzare tutto questo lavorando direttamente dall’Alto Adige: un territorio ricco di opportunità, molto stimolante, che pone grande attenzione alla ricerca e con un’Università molto ben strutturata. Senza contare l’entusiasmo generato dal NOI Techpark, il parco tecnologico in cui dal 2019 sarà ospitato il laboratorio di ricerca in cui lavoro» conclude Falco.

 

Fonte: verticalinnovation

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