Artico, sotto il permafrost bolle di metano e anidride carbonica pronte a liberarsi in atmosfera

3 Marzo 2020
permafrost

Secondo l’Arctic Report Card 2019, la situazione dell’intera regione artica è ormai drammatica. Il rapporto è una sorta di pagella che fotografa la situazione e viene preparata ogni anno dal Noaa, l’agenzia federale americana che si occupa di oceanografia, meteorologia e climatologia.

ghiacci groenlandesi diventano acqua al ritmo di 267 miliardi di tonnellate per anno e contribuiscono all’innalzamento del mare di 0,7 millimetri. La copertura nevosa del continente è stata la quinta più bassa degli ultimi 50 anni. La tundra sta diventando verde perché viene colonizzata dalle piante.

 

E mentre il Pianeta diventa sempre più caldo anche il permafrost subisce danni. Uno studio pubblicato su Nature Geosciences sostiene che a causa del suo scioglimento le emissioni potrebbero raddoppiare. Il permafrost è un materiale composto da rocce, suolo, sabbia e ghiaccio e materiale organico, piante, animali e microbi che un tempo vivevano in quelle terre, rimasti ibernati. Man mano che le temperature si riscaldano e gli organismi tornano in vita, rilasciano anidride carbonica e metano, producendo gas serra e contribuendo ancora di più al riscaldamento.

Esteso 18 milioni di chilometri quadrati, il terreno gelato copre un area grande quanto Canada, Stati Uniti e Cina, intrappola 1.700 miliardi di tonnellate di carbonio, vale a dire due volte quello che è contenuto in atmosfera e tre volte la quantità emessa dall’uomo dagli inizi dell’industrializzazione. Si trovava in quella situazione da oltre seimila anni.
Ora le cose stanno cambiando rapidamente. Sono così veloci che si sta verificando un nuovo fenomeno: grossi buchi appaiono nel terreno, provocando frane e facendo cascare alberi. Pensiamo che la tundra ne sia priva, ma in realtà l’area è coperta da foreste boreali. E il panorama sta cambiando drasticamente nel giro di mesi.

Questo processo viene chiamato termocarsismo. Le superfici si bucherellano e somigliano a quelle che si trovano nelle regioni carsiche. Quando il ghiaccio che tratteneva il terreno si scioglie, il suolo collassa e si formano veri e propri buchi che si riempiono d’acqua. Circa il 20 per cento del permafrost potrebbe trasformarsi in questo modo.

I climatologi conoscevano questo tipo di trasformazione e sapevano che poteva contribuire all’effetto serra, ma ritenevano fosse un processo graduale. Nel 2014 una pubblicazione dell’Università di Fairbanks aveva persino sostenuto che i laghi termocarsici 5000 anni fa erano serviti a raffreddare, non a riscaldare, il Pianeta. Ma le dinamiche geologiche erano molto diverse da quelle attuali.

In un rapporto pubblicato nel settembre scorso dall’Ipcc, l’agenzia delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, venivano dipinti due possibili scenari. Se l’umanità riuscisse a stare entro i 2 gradi di rialzo, il permafrost si ridurrebbe del 24 per cento entro il 2100. Ma se le emissioni continuassero a crescere, come stanno ancora facendo, il 70 per cento scomparirebbe.

In entrambi i casi gli esperti avevano calcolato che sarebbe stato tutto molto graduale e che ci sarebbe stato il tempo di trovare soluzioni. I ricercatori di Nature Geoscience hanno invece scoperto che tutto sta accadendo a una velocità impensabile fino a poco tempo fa.

Nei modelli presi in esame il termocarsismo era assente. Si supponeva che il permafrost si sciogliesse poco a poco, senza collassare. Invece poiché il ghiaccio occupa più spazio rispetto all’acqua, nel momento in cui la terra diventa una zuppa si formano anche crepe e voragini e si autoalimenta lo scioglimento. La rapidità a cui sta succedendo lo fa diventare violento e, tra l’altro, può generare un circolo vizioso che si autoalimenta e che sarà molto difficile fermare.

Nelle profondità tra l’altro sono contenuti ancora più organismi che possono tornare a emettere, e potrebbero essere rilasciate fino a 100 miliardi di tonnellate di carbonio entro il 2300. Ci vorrebbero migliaia di anni per immobilizzarlo di nuovo. Va tenuto infatti conto che il permafrost immagazzinava il 60 per cento del carbonio terrestre mondiale, pur coprendo solo il 15 per cento della superficie del globo.
Inoltre l’acqua di queste pozze ha un basso contenuto di ossigeno e uno spesso strato di carbonio sul fondale. I microbi che vivono in questi ambienti producono metano, un gas che agisce sul riscaldamento più potentemente che la CO2.

Avvisaglie di quello che stava succedendo c’erano già state. Il termocarsismo più noto è quelli del cratere Batagaika, una depressione profonda circa 100 metri, lunga un chilometro, che si trova nella taiga siberiana, apertasi nel 1960 in seguito a una deforestazione. Il ritmo a cui sta sprofondando è però diventato molto più sostenuto nell’ultimo periodo, e procede di 15 metri all’anno. In Siberia se ne sono poi aperti altri sette simili.

Nel 1900 accadeva solo in una superficie di 905 chilometri quadrati, il 5 per cento della regione. Gli studiosi ritengono che se non cambierà nulla il termocarsismo possa triplicare. Diventeranno 1,6 milioni entro il 2100 e 2,5 entro il 2300 e avranno trasformato il paesaggio in un colabrodo.

 

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