Identificare l’Alzheimer, al via la ricerca per capire i sintomi precoci tramite una semplice registrazione dell’elettroencefalogramma

4 Agosto 2025
Identificare l’Alzheimer

Lo studio, coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa con l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi e l’Università degli Studi di Firenze, aiuterà i medici nella diagnosi precoce.

 

Vuoti di memoria, amnesie temporanee che portano a dimenticare nomi, luoghi o appuntamenti. Può succedere a tutti, in particolare alle persone anziane.

Ma come si fa a capire quando questi sintomi derivano da un normale invecchiamento o da un periodo di stress o quando invece sono la spia di una possibile alterazione del cervello, come ad esempio dell’insorgere della malattia di Alzheimer?

Uno studio coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi e l’Università degli Studi di Firenze, ha avviato lo sviluppo di un nuovo metodo che, grazie alla combinazione di modelli matematici ed elettroencefalogramma, potrebbe aiutare a riconoscere sempre più precocemente i sintomi dell’Alzheimer, aprendo la strada a nuove tecniche diagnostiche che, con le necessarie verifiche, in futuro potranno supportare i medici nella pratica clinica.

Lo studio, dal titolo ‘Digital Twins and Non-Invasive Recordings Enable Early Diagnosis of Alzheimer’s Disease’ è stato pubblicato sulla rivista Alzheimer’s Research & Therapy.

“Non solo saremo in grado in grado di fornire una previsione sempre più affidabile del rischio di sviluppare l’Alzheimer in presone che non hanno ancora evidenti sintomi clinici, ma siamo riusciti a farlo con un metodo completamente nuovo, potenzialmente molto più semplice da utilizzare per ospedali e pazienti rispetto ai metodi attualmente in uso” dichiara Alberto Mazzoni, professore associato di Bioingegneria presso l’Istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna e coordinatore dello studio.

Identificare l’Alzheimer capendo in anticipo i sintomi – La malattia di Alzheimer rappresenta una delle principali sfide della medicina moderna, con un impatto crescente su pazienti, famiglie e sistemi sanitari. Negli ultimi anni, la ricerca ha rivolto sempre maggiore attenzione alle fasi prodromiche della malattia, ovvero a quel periodo che precede la comparsa dei sintomi conclamati di demenza.

“La tecnologia è promettente – afferma Valentina Bessi, responsabile del Centro per i disturbi cognitivi e le demenze presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze e professoressa associata di Neurologia presso l’Università di Firenze – e può essere un ulteriore strumento per aiutare nella diagnosi il medico, conoscitore della complessità fisica, psichica e sociale del paziente. Identificare l’Alzheimer – conclude Bessi – quando i segni clinici sono ancora lievi, ma sono già presenti alterazioni biologiche, è oggi considerato fondamentale. La diagnosi precoce per identificare l’Alzheimer sta aprendo nuove possibilità di intervento, consentendo l’accesso a trattamenti innovativi che potrebbero rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita”.

L’obiettivo di questa ricerca, durata oltre quattro anni, è quello di fornire una prognosi riguardo al possibile emergere di demenza di Alzheimer in persone che non hanno ancora sintomi così gravi da essere a livello clinico. Finora l’unico modo per capire se eventuali vuoti di memoria siano i primi segnali dell’Alzheimer è ricorrere a esami complessi come la PET cerebrale o l’esame del liquido cerebro-spinale.

Nello studio abbiamo analizzati i dati di 124 persone, di cui 86 con lievi disturbi cognitivi solo soggettivi. Il nostro approccio ha consentito di predire nell’88% dei casi l’esito dell’esame del liquido cerebro-spinale basandosi solo sull’elettroencefalogramma. Inoltre, siamo stati in grado di predire 7/7 conversioni ad un declino cognitivo obiettivabile. Naturalmente si tratta di numeri non molto grandi e soprattutto di un tempo di osservazione relativamente limitato per fenomeni che richiedono anni a svilupparsi, quindi sarà necessario ampliare i dati a disposizione e continuare a seguire i pazienti nei prossimi anni.

“Abbiamo utilizzato un modello matematico che descrive il cambiamento dell’attività del cervello al progredire dell’Alzheimer per investigare i segnali che annunciano l’inizio della malattia – spiega Lorenzo Gaetano Amato, studente del corso PhD in Biorobotica della Scuola Sant’Anna e autore principale della scoperta – Il passo successivo è stato quello di analizzare l’attività cerebrale di oltre cento anziani con lievi problemi di memoria tramite una semplice registrazione dell’elettroencefalogramma. Combinando queste analisi, per ognuno di loro è stato sviluppata una versione personalizzata del modello del cervello che ci ha consentito di capire quali di loro fossero a rischio di sviluppare l’Alzheimer.

“Questa combinazione di metodi di simulazione del cervello avanzati combinati con un semplice elettroencefalogramma funziona meglio dei metodi usati finora. Per ora questo è stato uno studio tutto italiano ma stiamo lavorando a una validazione più ampia che comprenda anche collaborazioni con centri europei” – conclude Alberto Mazzoni.

 

fonte: Sant’Anna, Scuola Universitaria Superiore Pisa

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