Evoluzione delle tecniche di acquisizione ed elaborazione delle immagini in citogenetica

30 Giugno 2025
Citogenetica

L’approfondimento, presentato a LAB Italia 2025, è a cura del Dr. Eugenio Gautiero – Laboratorio di Genetica Medica, Fondazione IRCCS San Gerardo, Monza – Tesoriere SITLab.

 

In questo articolo si desidera raccontare l’evoluzione della citogenetica attraverso oltre 30 anni di cambiamenti nelle tecniche di acquisizione ed elaborazione delle immagini.

La citogenetica studia i cromosomi umani. Tutti sappiamo di avere 46 cromosomi, organizzati in coppie. Nelle donne troviamo due cromosomi sessuali uguali, i cromosomi X; negli uomini, invece, uno dei due cromosomi sessuali è diverso: il Y.

Le anomalie cromosomiche possono riguardare il numero (aneuploidie) oppure la struttura (duplicazioni, delezioni, traslocazioni, inversioni).

Possono essere:

  • Costituzionali, cioè presenti nelle cellule germinali e quindi trasmissibili;
  • Acquisite, cioè generate in cellule somatiche nel corso della vita per diverse cause: queste ultime non vengono trasmesse alla prole, ma possono contribuire allo sviluppo di tumori.

I cromosomi, che contengono quasi tutto il nostro DNA, diventano visibili al microscopio durante la metafase. Si distinguono per dimensioni, posizione del centromero e forma. Inizialmente, negli anni ’60, venivano colorati in modo uniforme con colorante Giemsa, e classificati in 7 gruppi (A-G) sulla base delle caratteristiche morfologiche.

Successivamente, grazie all’utilizzo di fluorocromi, enzimi e calore, è stato possibile ottenere il bandeggio cromosomico, che consente di distinguere ogni cromosoma con precisione. Sono stati sviluppati vari tipi di bandeggio (GTG, RBA, CBA, QFQ…) per evidenziare caratteristiche specifiche.

 

I primi laboratori

Tra la fine degli anni ’70 e ’80 nascono in Italia i primi laboratori di citogenetica, principalmente in ambito universitario. In Lombardia, i primi centri ospedalieri attivi nella diagnosi citogenetica sono a Milano (Melloni e Mangiagalli) e a Brescia (Spedali Civili).

Il 23 gennaio 1993 nasce il Laboratorio di Citogenetica dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza (oggi IRCCS), fondato da due biologhe e un tecnico. La struttura contava quattro stanze: camera sterile, sala microscopi, locale per gli allestimenti e camera oscura. Gli strumenti fondamentali erano: cappa a flusso laminare, incubatore a 37°C, microscopio rovesciato per colture (“invertoscopio”), microscopio per fotografia e proiettore.

Dopo la colorazione in bandeggio, le metafasi venivano selezionate e fotografate manualmente al microscopio. Si usavano rullini da 36 foto, sviluppati in camera oscura. I negativi venivano proiettati su fogli bianchi per identificare i cromosomi, che venivano poi ritagliati a mano e incollati su cartoncini per ottenere il cariotipo. Era un lavoro lungo e meticoloso.

Citogenetica
 

L’arrivo della digitalizzazione

Dalla seconda metà degli anni ’90 inizia la svolta digitale: la fotocamera viene sostituita da una telecamera, e si introducono i primi software per l’acquisizione e l’elaborazione delle immagini. Il lavoro si semplifica notevolmente.

Sempre in quegli anni, il nostro laboratorio introduce la citogenetica molecolare con la tecnica FISH (ibridazione in situ a fluorescenza). Questa permette di localizzare specifiche sequenze di DNA su cromosomi, nuclei o sezioni istologiche, mediante sonde marcate. Le sonde possono essere:

  • Locus-specifiche, per microdelezioni;
  • Alfa-satelliti centromerici, per identificare cromosomi specifici;
  • Telomeriche, per marcare i telomeri;
  • Painting, cioè intere librerie genomiche, utili nelle traslocazioni.

 

L’era del cariotipo molecolare

Intorno al 2005 arriva una nuova tecnica: l’array-CGH (o cariotipo molecolare), che analizza il genoma a risoluzione elevata. A differenza della FISH, che richiede sonde mirate, l’array-CGH confronta l’intero DNA del paziente con un DNA di riferimento, colorati diversamente.

 

È una tecnica quantitativa che rileva microdelezioni e duplicazioni, e si usa nei casi in cui il cariotipo classico non è sufficiente. Tuttavia, non rileva traslocazioni bilanciate o inversioni, né mosaicismi a bassa percentuale, per cui lo studio cromosomico tradizionale resta fondamentale.

 

Verso l’automazione e l’intelligenza artificiale

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una nuova rivoluzione: l’automazione dell’acquisizione tramite microscopi robotizzati e l’impiego dell’Intelligenza Artificiale (IA) per l’elaborazione e classificazione dei cromosomi.

Grazie ad algoritmi avanzati e reti neurali artificiali, oggi l’IA supporta la diagnosi delle anomalie cromosomiche in modo rapido e accurato, migliorando la riproducibilità e riducendo l’errore umano. Sistemi come Ikaros, basati su deep neural networks (DNN), sono in grado di classificare automaticamente i cromosomi con un’accuratezza del 95-99%.

L’IA apprende continuamente da migliaia di immagini pre-classificate, supporta varie tecniche di bandeggio e consente una generazione automatica del cariotipo sempre più affidabile.

 

Anche in ematologia

Le applicazioni dell’IA si estendono anche all’ematologia e all’ematoncologia. Un emocromo standard non fornisce dettagli morfologici, ma l’analisi di strisci periferici o di midollo consente di individuare alterazioni cellulari. Per sospette neoplasie ematologiche, sono fondamentali:

  • Striscio del sangue periferico per la morfologia;
  • Aspirato midollare e biopsia osteomidollare;
  • Esami citogenetici e molecolari per anomalie genetiche.

Anche in questo campo, DNN addestrate su grandi dataset permettono una classificazione precisa e automatizzata dei leucociti, velocizzando la diagnosi e favorendo il confronto tra specialisti tramite sistemi di tele-morfologia.

Un algoritmo avanzato può oggi analizzare 100 cellule in 2 minuti, con grande precisione.

 

Integrazione delle tecniche

Una delle innovazioni più promettenti è la possibilità di integrare la classificazione cellulare con altre tecniche, come la FISH, in un processo automatizzato. Le cellule vengono localizzate, classificate e successivamente analizzate con colorazioni aggiuntive, aumentando sensibilità e specificità, in un ambiente digitale tracciabile e sicuro.

 

Conclusione

Abbiamo visto come la citogenetica – una delle più giovani e affascinanti discipline del laboratorio biomedico – sia profondamente cambiata negli ultimi trent’anni. Dalle prime immagini su pellicola, siamo arrivati all’acquisizione automatica, all’elaborazione digitale e ora all’intelligenza artificiale.
Questa trasformazione ha reso l’analisi citogenetica ed ematologica più efficiente, rapida e standardizzata, a beneficio della diagnosi e della cura.

 

 

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